Sesso con le macchine sì o no? Ecco un’analisi dei pro e dei contro

2022-06-04 02:24:16 By : Ms. Greating Jiang

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SIMODEC 8-11 marzo 2022 – La Roche-sur-Foron (F)

GrindTec 15-18 marzo 2022 Augsburg (D)

Seatec Compotec 17-18 marzo 2022 Marina di Carrara (MS)

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Prodotti soprattutto in Cina i robot sessuali non sono semplici evoluzioni delle bambole gonfiabili di antica memoria. I sex robot potrebbero, secondo alcuni, consentire l’accesso alla sessualità a persone estremamente timide o che vivono situazioni di disagio di cui hanno difficoltà a parlare con esperti.

Li chiamano sex robot e pare stiano conoscendo un enorme successo commerciale. Come dobbiamo guardare a questo ingresso della tecnologia nella nostra sfera più intima?

Non esistono statistiche precise, ma pare che nell’ultimo anno e mezzo, soprattutto a causa del lockdown, siano schizzate alle stelle le vendite di un particolare tipo di robot di servizio: quello per fare sesso. Non parliamo di una semplice evoluzione delle famigerate bambole gonfiabili, magari più curata nell’aspetto e capace di compiere qualche elementare movimento. No, i nuovi “sex robot”, come vengono definiti, sono anche arricchiti da una nuova intelligenza, che i produttori definiscono “artificiale”, per quanto molto più propriamente sia costituita da semplici algoritmi. Grazie a essa sono in grado di interagire non soltanto con gemiti e mugolii, ma anche articolando frasi compiute e rispondendo perfino alle domande degli utilizzatori.

La diffusione di questi automi non è però un fatto recentissimo. È un trend in corso già da diversi anni, nato in seguito allo sviluppo della “teledildonica”, tecnologia che ha trasformato i vibratori per uso femminile in oggetti “intelligenti”, programmabili e governabili a distanza attraverso una app. I dildo high-tech hanno conquistato il mercato, soprattutto in Nord Europa e nei paesi di lingua anglofona e hanno dato vita a una vera e propria industria, che ha iniziato a indagare nuove strade per applicare soluzioni di robotica e intelligenza artificiale alla sfera della sessualità. Già nel 2015 il brand britannico Bondara, che commercializza online sex toys di ogni genere, commissionava un’analisi sul futuro del mercato al noto futurologo Ian Pearson. Le conclusioni dell’analista, contenute in un documento dall’eloquente titolo “The Rise of Robosexuals” (L’ascesa dei robot sessuali), si possono riassumere in cinque previsioni.

1) Entro il 2030 molte persone vivranno esperienze occasionali di sesso virtuale proprio come frequentano oggi i siti pornografici.

2) Entro il 2035 la gran parte delle persone possederà sex toys che utilizzeranno in interazione con sistemi di realtà virtuale.

3) Entro il 2025 assisteremo all’ingresso di robot sessuali soprattutto nelle famiglie ad alto reddito.

4) Entro il 2050 il sesso con i robot diventerà prevalente rispetto a quello tra umano e umano.

5) Amore e sesso diventeranno sempre di più due aspetti separati nelle nostre relazioni che si trasformeranno sempre di più in rapporti in cui l’aspetto sessuale non sarà così importante.

Potrà davvero succedere che nel 2050 preferiremo avere rapporti con i robot che con gli esseri umani? Impossibile dirlo, ovviamente, quando si tratta di questo genere di previsioni. Ma tra le anticipazioni di Pearson, per esempio, quella che pone al 2025 l’orizzonte per l’ingresso sul mercato di robot del sesso ad alto costo è già stata anticipata. Esistono già aziende, infatti, come la britannica LoveDolls, che hanno messo in vendita sex robot estremamente realistici. È addirittura possibile personalizzarli con caratteristiche di ogni tipo, dal colore dei capelli alle misure del seno alle lentiggini. I prezzi medi di questi oggetti si aggirano tra i 1.100 e i 1.500 euro. E si tratta solo di quelli più economici, perché i modelli più realistici si acquistano a non meno di 15.000 euro. Per la stragrande maggioranza hanno sembianze femminili, a testimoniare che il mercato è ancora estremamente sbilanciato su una clientela di ricchi maschi. Ma cominciano ad apparire anche robot del sesso per le donne. E c’è chi cerca pubblicità grazie a loro, come il culturista kazako Yurii Tolochko, che nel novembre 2020 ha inscenato perfino un matrimonio con una sex doll di nome Margo.

L’ingresso delle tecnologie digitali nel mercato degli oggetti sessuali si è verificato ormai da oltre una decina d’anni con la “teledildonica”. L’adozione di soluzioni robotiche è, invece, più recente.

Mentre le aziende intravvedono un nuovo ricco mercato in cui fare lauti profitti, quello del sesso tecnologico, che già nel 2018 era valutato oltre 30 miliardi di dollari, c’è chi si pone il problema dell’impatto che questi oggetti potrebbero avere sulle relazioni tra le persone e a livello sociale. Semplificando in modo estremo le posizioni del dibattito si dividono tra favorevoli e contrari. I primi vedono i sex robot come strumenti ad alta valenza sociale, un po’ valvole di sfogo per pulsioni che potrebbero facilmente incanalarsi in direzioni negative, un po’ ciambelle di salvataggio per categorie sempre più ampie di persone private del sesso e della sessualità perché portatori di disabilità fisiche e psichiche o perché anziani.

I contrari, invece, contestano il valore terapeutico di questi robot e sottolineano i rischi di una sempre maggiore disumanizzazione del rapporto sessuale, che finirebbe per spingere chi utilizza queste macchine a comportamenti aberranti che poi tenderebbero a replicare anche con gli esseri umani.

LA CAMPAGNA CONTRO I “PORNBOT”

Questa posizione è sostenuta da diversi studiosi, ma anche da movimenti di opinione, come quello espresso dalla Campaign Against Sex Robots, che in realtà definisce questi automi come “pornbot” e che ha definito un programma articolato in sei punti. Il primo è abolire i pornbot con l’aspetto di donne e ragazze. Il secondo è promuovere un’idea di sessualità fondata sulla relazione tra esseri umani. Ma soprattutto è centrale l’impegno della campagna nel mettere in discussione l’idea che sia normale utilizzare queste macchine in sostituzione delle relazioni reali. Ed è fortemente contestata l’opinione che questi robot abbiano una funzione terapeutica per i pedofili, che utilizzandoli potrebbero invece continuare a coltivare imperterriti la loro perversione.

ROBOT E MERCATO DEL SESSO

Sul tema se schierarsi o meno contro i robot del sesso, perché perpetuerebbero un’idea maschilista e patriarcale di sfruttamento delle donne il dibattito è acceso. Lo evidenzia, in un interessante saggio pubblicato sulla rivista scientifica “Advanced Robotics” lo studioso italiano Piercosma Bisconti della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. Bisconti ha indagato il tema della capacità dei sex robot di modificare le relazioni tra esseri umani. Uno dei temi più importanti nel dibattito attuale, secondo il ricercatore, è l’idea che la relazione tra uomo e robot in ambito sessuale possa essere equiparata a quella che si stabilisce tra clienti e lavoratori del sesso. C’è chi guarda a questa equivalenza con una sfumatura positiva: se da un lato il fenomeno dei robot sessuali si inquadrerebbe così in una vecchia visione patriarcale del mondo, d’altro canto l’impiego delle macchine potrebbe contestualmente portare a una riduzione della prostituzione e degli abusi derivanti dallo sfruttamento di esseri umani per fini sessuali. Questa posizione è avversata da altri ricercatori, come Kathleen Richardson, che evidenziano come la relazione sessuale stabilita tra un uomo e una prostituta (considerando che la maggior parte dei clienti di questo mercato sono uomini) è moralmente inaccettabile, perché è degradante e trasforma la donna in puro oggetto. “La totale assenza di empatia e di rispetto per un altro essere umano”, scrive Bisconti riassumendo il pensiero di Richardson, “rende questa relazione moralmente inaccettabile. Dal momento che i sex robot riproducono la stessa dinamica per questo motivo vanno banditi”.

Secondo lo studioso italiano, però, tutto il ragionamento parte da un presupposto sbagliato. A suo parere la relazione tra uomo e robot in ambito sessuale è diversa rispetto a quella tra cliente e lavoratrice (o lavoratore) del sesso. Per tre elementi che sono totalmente assenti nel rapporto uomo-robot. Tra cliente e prostituta, scrive Bisconti, “c’è un accordo che implica almeno una certa forma di riconoscimento della soggettività dell’altro. Ciò che può o non può essere fatto è formalizzato in modo chiaro dall’accordo tra i due, che implica da parte del cliente la rinuncia alla fantasia di una disponibilità totale dell’altro e, quindi, a una sua totale oggettivizzazione”. Infine, terzo punto evidenziato da Bisconti, “il rendersi disponibile da parte della lavoratrice/lavoratore del sesso è fittizia, perché si applica solo nell’ambito di ciò che è stato stabilito al momento dell’accordo”. Esiste, insomma, una sorta di contratto tra cliente e prostituta che stabilisce se non altro un confine, in base al quale chi cede i suoi favori sessuali lo fa in cambio di qualcosa (denaro) e non è sottoposto realmente alla volontà del cliente. Non è questo il caso del rapporto con i robot, osserva Bisconti, che quindi va riconsiderato al di fuori dell’analogia della prostituzione.

La diffusione dei robot sessuali è vista anche dai ricercatori secondo due punti di vista contrastanti. Da una parte ci sono coloro che temono una disumanizzazione dei rapporti sessuali, dall’altra coloro che li considerano quasi alla stregua di strumenti terapeutici.

In generale chi si oppone all’impiego di robot sessuali li considera un rischio perché favorirebbero una sorta di “trasferimento simbolico” tra robot ed essere umano. In sostanza chi fa sesso con i robot potrebbe sviluppare perversioni o crearsi l’aspettativa di una totale disponibilità dell’altro che poi trasferirebbe anche nella “realtà” in occasione di rapporti con altri esseri umani. Un dibattito simile a quello che ha riguardato in passato i videogame sparatutto, considerati pericolosi da alcuni perché avrebbero potuto produrre schiere di persone incapaci di distinguere tra mondo virtuale e reale. Questo trasferimento simbolico però, osserva Bisconti, non è avvenuto nel caso dei videogame e non avviene nel caso dei robot del sesso, perlomeno finché questi sono ancora in uno stadio di sviluppo elementare in cui ancora appaiono simulacri lontani dell’essere umano.

Questi robot però sono in continua evoluzione, anche grazie al sempre più potente intervento dell’intelligenza artificiale. Non è quindi escluso che, in futuro, possano comparire sul mercato automi del sesso talmente fedeli e ingannevoli da rendere probabile, se non possibile, il trasferimento simbolico tra macchina ed essere umano.

Ma qual è il rischio maggiore di robot così fedeli alla realtà? Secondo Bisconti non è che li possiamo confondere con altri essere umani, ma che il loro realismo possa innescare un meccanismo di “infantilizzazione” dell’utilizzatore che si traduce “nel deterioramento delle capacità di chi li usa di gestire la sua frustrazione”. L’interazione con i sex robot potrebbe portare a una trasformazione della predisposizione alle relazioni con gli altri. L’utilizzatore di queste macchine potrebbe abituarsi a un’interazione in cui l’altro soggetto (e non oggetto) è pienamente disponibile, senza bisogno di “negoziare”, di dare qualcosa in cambio. Una dimensione, appunto, totalmente egoistica e infantile del rapporto sessuale. Ma attenzione a generalizzare, avverte Bisconti: “tali serie implicazioni difficilmente potranno riguardare tutti gli utilizzatori di sex robot, perché va considerata la molteplicità delle relazioni umane e degli stimoli tra persone che si verificano nelle vite degli individui”. Diventa quindi necessario, anche alla luce dell’impossibilità di prevedere gli sviluppi di questo mercato, individuare gli impatti di queste macchine sui segmenti più vulnerabili della società per porre dei vincoli alla progettazione e delle regole capaci di impedire l’innesco di effetti deleteri sulle persone.

Ma c’è un altro aspetto nel rapporto tra uomini e robot che emerge raramente nelle questioni accademiche e che invece ritorna con una certa frequenza nel lavoro di due studiosi dell’Università di Berna, Adamantios Koumpis e Thomas Gees, specializzati in “digital enabling”, cioè in abilitazione digitale. Si potrebbe pensare che questo indirizzo riguardi la difficoltà di alcune fasce della popolazione a utilizzare computer, device digitali e Internet, ma in realtà si estende oltre. La loro posizione sul tema è quella di non considerare l’industria dei robot del sesso come qualcosa di perverso o di sinistro. “Al contrario”, scrivono, “pensiamo che finché è possibile offrire conforto a qualcuno, al di là della sua età, abilità, disabilità o qualsiasi altra caratteristica, dovremmo tutti considerarla in modo positivo”. Considerate l’esempio, dicono Koumpis e Gees, “di una persona estremamente timida, al punto da non voler rivelare la sua timidezza a un esperto. Sarebbe meglio per lui o lei non avere alcun tipo di relazione sessuale o piuttosto fare sesso con un robot?”. Ma anche quello di una coppia sposata che condivide la propria vita, ma ha difficoltà a entrare in sintonia a livello sessuale. “Perché dovrebbero avere il divorzio come unica opzione? Se preferiscono stimolarsi a vicenda con biancheria intima connessa e vibrante lasciamoli liberi di farlo”. Insomma, i robot del sesso, per i due ricercatori, potrebbero trovare impieghi positivi per tutti quanti noi: “per chi ha una vita sessuale soddisfacente e apparentemente non ha bisogno delle macchine e per coloro che invece hanno una forte carenza e per questo motivo dovrebbero poter accedere più facilmente a questa sfera, indispensabile per le nostre vite”. ©WE ROBOTS

Le obiezioni fatte all’uso dei sex robot sono simili a quelle avanzate tempo fa sulla diffusione dei videogame e sul rischio che i giochi “sparatutto” favorissero la diffusione della violenza. Effetto che però non si è verificato.

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